giovedì 8 dicembre 2011

La pellicola ritrovata del CIMES: “L’orizzonte dipinto”



La magia del mai visto libera gli occhi dello spettatore più disattento, del ragazzo più annoiato, del critico più fossilizzato e gli regala un nuovo ordine di cose… una meraviglia che per un paio d’ore gli fa dimenticare il tempo che scorre e lo inchioda a uno schermo dove rivivono - udite udite! -immagini in bianco e nero. Se questa non è meraviglia dell’arte, di certo è un piccolo miracolo nell’era del 3D e dell’iPad.

Non ci si poteva aspettare di più da L’Orizzonte dipinto, un film del 1941 con la regia di Guido Salvini  e la partecipazione di attori come Ermete Zacconi, Paolo Stoppa , Renzo Ricci, Cesco Baseggio: un cast spettacolare che raccoglie i più grandi attori di  fine ‘800 inizio ‘900.

Il 25 novembre in via Azzo Gardino viene proiettato davanti a una platea del tutto sprovvista della benché minima conoscenza del film poiché la pellicola, data da tempo per scomparsa, è stata da poco ritrovata grazie all’interesse e alle ricerche svolte da Gerardo Guccini e Michele Canosa. A colmare le giustificabili lacune sono intervenute tre autorevoli voci da tempo care al CIMES: Gerardo Guccini, responsabile scientifico CIMES e professore associato dell’Università di Bologna, Paola Bignami, professore associato presso l’Università di Bologna e Paolo Puppa, ordinario di Storia del teatro e dello spettacolo alla Facoltà di Lingue e Letterature straniere presso l’università di Venezia.

La trama è presentata dal prof.Guccini che introduce sin da subito la centralità che svolge il teatro in 
essa. La storia articola un discorso sul teatro che, per la sua complessità e la particolarità dei suoi sviluppi, ha bisogno della giusta chiave di lettura. Una breve panoramica sull’attività del regista ci consente di conoscere meglio il nipote del celebre attore Tommaso Salvini nonché personaggio di punta nel rinnovamento teatrale italiano. Regista a tutto tondo dal mondo lirico, dove imprime novità al repertorio rossiniano, a quello pirandelliano, insegnante di regia all’Accademia di arte drammatica Silvio D’Amico, non è alla sua prima regia cinematografica. Nel 1937 dirige La regina della Scala dove vengono mostrate le prove del Nerone di Mascagni, l’opera preferita dal regime fascista.
Amore per la musica e coraggio nel muoversi controtendenza si ritrovano, invece, nel film del ’41, dove l’arte è rappresentata come fatica, fallimento, addirittura morte. Quest’ultimo aspetto vive nella tragica vicenda del personaggio di Laura Adami la quale, morendo tra il silenzio dei suoi colleghi e il delirio della scena, si sacrifica per il teatro e sottolinea i risvolti tragici riconosciuti dal film come alla base del vivere nel teatro.
La trama ruota attorno alle vicende della giovane Nora e del suo percorso che la porterà a vivere tutte 
le tappe della carriera attoriale: da voce di Giulietta in un carretto di burattini ad anima e corpo della stessa in un grande teatro Milanese. Ma la sua carriera è fatta di simboli: dalla “Chimera”, che la trascinerà, con l’omonima compagnia, nell’arte che regala sogni per poi tradirli, al burattinaio, interpretato da Benassi, famoso compagno in scena della Duse e legato a un teatro senza luogo, poetico, irreale. Non è un caso se Guccini ricorda la citazione della Duse riportata da D’Amico nel suo Tramonto del grande attore: “Per riformare il teatro bisognerebbe bruciarlo”. E non è un caso se ciò succede, nel film, per una disattenzione della giovane Nora. Non dimentichiamo la presenza nel film del teatro del grande attore: la voce drammatica di Enzo Ricci che viene sentita dalla giovane Nora mentre recita l’Amleto, l’ “ocialetto” che il grande Ermete Zacconi regala alla giovane delusa sono tutti segni di una sensibilità artistica, di una magnificenza intramontabile.
 Dall’alto dei suoi studi sulla scenografia e sul costume teatrale, la prof.ssa Bignami ci guida alla scoperta delle scene ne L’orizzonte dipinto attraverso bozzetti e immagini di Aldo Calvo, scenografo famoso per il suo binomio con Salvini e qui ritrovato, secondo una tesi avanzata dalla stessa, come costumista: dalla sua esperienza nel teatro nazionale brasiliano fino all’ Aida del ‘49 sceneggiata in occasione della Biennale di Venezia, senza tralasciare la collaborazione ne La regina della Scala, Calvo si dimostra un ottimo scenografo sia nell’opera che nel teatro di prosa, soprattutto negli interni e nelle scene veristiche  nonostante  pecchi nell’innovazione. Nel film la realtà si riverbera nel teatro: il teatro è lo spazio del vero descritto in ogni suo aspetto, persino nelle parti più nascoste allo spettatore e i suoi palchetti diventano gli occhi che testimoniano la vittoria della nostra Nora e della sua aspirazione… il  fuori, quello sì che è ricostruito, irreale. Il mondo del teatro e le sue gerarchie rivivono nei cappotti. Nella sua profonda analisi del costume, la Bignami sottolinea la pelliccia del grande attore e il giacchetto della nuova arrivata: il cappotto che identifica il grado dell’attore e lo copre dal freddo della solitudine, del paese  sconosciuto, del pubblico invocato, della compagnia che rischia lo sfascio. Lo stesso cappotto che, una volta perso il corpo da rivestire, viene poggiato sul cassone. Il burattinaio non indossa un cappotto, lui che dà l’anima ai burattini veste a righe: è la stoffa del diavolo che chiarisce quale fuoco arde nella sua interiorità.

Dal regista e dallo sceneggiatore-costumista all’attore il passo è breve: Cesco Baseggio non può rivivere che nella voce ferma e calda di Paolo Puppa e nel suo suadente veneziano, regalandoci una lettura del monologo di Shylock davvero indimenticabile. Il suo libro, Cesco Baseggio.Ritratto dell’ attore da vecchio, pone l’accento sull’importanza della conquista del ruolo della vecchiaia scenica da parte dell’attore. Baseggio interpreta Shylock in una riscrittura in dialetto veneziano de Il mercante di Venezia a soli ventinove anni e ne fa il suo autoritratto: il vizio e il dolore sono espressioni di un interiorità corrotta dal gioco e dalla prodigalità. Non ha maschera oltre le occhiaie e la schiena ricurva, le mani ad artiglio e la erre moscia che caratterizza ancor di più il suo veneziano rendono l’avaro ebreo di Baseggio una caricatura di se stesso. Una disperazione che gli appartiene così come gli appartiene il personaggio. Non è comico, non è tragico, ma è caratterista: è il tipico intellettuale da salotto pirandelliano, il personaggio che non può vivere i sentimenti ma li commenta e critica. Ama i soldi così come ama i giovinetti e vive una vita spericolata, fatta di ben 56 film (marchette per guadagnare, come li chiama lui) dove la sua vita singolare, eccentrica impossessa i suoi personaggi, spesso militari. Ne L’orizzonte dipinto si riallaccia alla dimensione della normalità. Sposato con la Gramatica (altra figura che richiama in scena la Duse) forma la coppia che farà da esempio alla giovane ingenua, trionfante alla morte della vecchia attrice.

In trepidante attesa del film, Puppa ci stuzzica con frasi riprese dallo stesso, tra le quali è doveroso ricordare : “sei un attrice, sei un soldato”pronunciata dal vecchio grande attore Zacconi nel rinfrancare il cuore di Nora e “ l’arte non copia, l’arte inventa”, frase a cui non bisogna aggiungere nulla. Ormai siamo pronti per questo viaggio, ormai ci siamo.

Godiamoci il buio della sala, il sipario si alza sul film
E non è un gioco di parole, ma la descrizione dell’inizio di una delle storie  più emozionanti orbitanti intorno al teatro. Battute fresche, risate sane e emozioni come non ne vediamo più, attori fantastici nell’interpretare un mondo alla deriva. Paolo Stoppa diverte con il suo atteggiamento da attore navigato e amato, con il suo sdegno per i borghesi che vogliono fare gli attori e le ragazze che non accettano le sue attenzioni, Renzo Ricci ci ricorda come il grande attore è capace di piangere di ogni sua emozione legata al teatro mentre il grande Ermete Zacconi è il vecchio attore che non rinuncia a calcare le scene, per un ultima volta, e ascolta il pianto di una giovane donna turbata dalla sua passione, Laura Adani, che santifica con il suo estremo sacrificio la scena e abbandona nelle mani di Nora, interpretata da Luisella Beghi, il giovane Massimo e il suo animo combattuto tra il caldo pasto nella  famiglia borghese e la fredda minestra riscaldata degli alberghetti di provincia. E il carrozzone continua a viaggiare, regalando sogni e infrangendoli, come Medusa che promette al suo amore un matrimonio (ma sempre dopo il prossimo spettacolo!) quando davvero non ci saranno più speranze. Quando davvero si avrà il coraggio di abbandonare... ed ecco che arriva Milano, la città, e a portarli fin lì sono i celebri “ocialetti”, amuleto capace di restituire gioie e speranze. E Giulietta, finalmente, va in scena per davvero. Nella scena finale, tra i doppi palcoscenici rotanti del grande Max Reinhardt ricordati qui da Salvini (più che un regista, il promotore della tecnologia) abbiamo l’ultimo stacco sul mondo del grande attore, sulla sua arte e il sacrificio che egli le dedica, poiché “il teatro non è un posto a sedere, ma un apostolato tra la gente”.
E come ogni volta davanti al sipario chiuso, ci vuole forza di volontà per alzarsi e rientrare nel mondo che ci aspetta fuori. Per accettare un “FINE” che arriva a chiuderci l’Orizzonte.
                                                                                                          Elvira Scorza

“L’orizzonte dipinto”: un lavoro di squadra. Intervista a Gerardo Guccini



Un tempo si usciva dai teatri e si parlava, si ragionava e, perché no, si criticava. Ogni spettatore aveva il desiderio di prolungare quella meravigliosa esperienza e condividerla con gli altri. Oggi si fa un po’meno, ma se hai l’occasione di trovarti davanti lo sciamano che ti ha portato a vivere un’ esperienza inaspettata nel mondo straordinario, due domandine sono di rito. Naturalmente mi riferisco a Gerardo Guccini, la saggia guida che ha ritrovato e portato alla nostra conoscenza un capolavoro come L’Orizzonte dipinto. Famelicamente abbiamo domandato e lui, gentilmente, ci ha risposto.

Anzi, prima ancora di rispondere, ha precisato:
«Gli studi da sempre hanno cercato di limitare un po’ la figura dell’attore, che ha uno strumento di indipendenza fortissimo nella drammaturgia e invece è stato paralizzato dalle teorie delle grandi avanguardie che hanno disciolto l’energia dell’attore “straordinario”: lo studio del nuovo teatro ha abbandonato la volontà di indagare la realtà dell’attore. Ma se l’attore riassume la propria autonomia tutti quanti i fili ci riportano al grande attore, difatti oggi sta riemergendo l’attore-interprete che la storiografia del nuovo teatro ha fortemente censurato.»

Un intervento di Fabio Acca, altra importante figura del CIMES, chiarisce ancora di più il concetto:
«I due avanguardisti che si sono slegati da questa linea di “oppressione” dell’attore sono Carmelo Bene e Leo de Berardinis. Dei due, de Berardinis ha portato avanti una scuola in cui la crescita sistematica sugli sviluppi dell’attorialità si confronta con l’individualizzazione dell’idea del personaggio: è da lui che parte la “rinascita pirandelliana” (che tanti premi gli procura). Ma la storiografia non si è interessata a questo processo in itinere, nella cronologia storica: non ha posto attenzione a questa riunione dei valori e della dimensione attoriale.»

Professor Guccini, che il teatro sia protagonista del film è ben chiaro, ma in relazione a ciò che ha appena affermato come possiamo interpretare il quadro d’insieme, rappresentato sul palcoscenico di  L’Orizzonte dipinto?

Questo film dimostra come il teatro può essere visto oltre gli schemi di Silvio D’Amico: egli infatti aveva idealizzato il pensiero teatrale e, con la sua autorità, affossato il grande attore. Nella sua Enciclopedia dello spettacolo l’unico grande attore citato è Eleonora Duse ma la sua figura è legata all’idea di un teatro che si dissolve, e questa immagine è presente nel film nella figura del teatro che brucia. D’Amico ha dettato legge e da lui in poi la sintesi registica ha incarnato la figura in antitesi con l’attore. Mentre nel pre-bellico in cui questo film è ambientato, la regia è una presenza ne L’Orizzonte dipinto essa è legata al portare avanti le innovazioni di Max Reinhardt (con il quale Salvini ha lavorato) ossia il palco rotante.

Quindi abbiamo la descrizione di un rapporto particolare tra regia e attore?
Il film descrive gli anni in cui la dimensione registica convive con l’arte del grande attore. Non c’è ancora l’ideologizzazione della regia e quindi la convivenza è possibile: pensiamo a Strehler e al rantolo di Ricci nella sua messa in scena de Il giardino dei ciliegi. È storia.

Com’è venuto alla sua attenzione questo film?
Leggendo le recensioni dell’epoca. In effetti non ha avuto grande successo, ma molte recensioni sono state scritte su questo film. È stata un opera di recupero.

E sicuramente ritrovarlo non è stato facile?
Sono state portate avanti lunghe ricerche tra gli archivi del Museo del cinema di Torino e della Cineteca di Bologna, e alla fine è stato ritrovato da Michele Canosa, vicino alla conservazione filmica, presso la Ripley’s Film e approfitto per ringraziare il dottor Angelo Draicchio. Va precisato inoltre che del film in realtà esiste solo il negativo, quindi è stato girato in supporto DVD per questa occasione.

È la prima volta che viene mostrato il film in  pubblico?
No, è stata fatta un anteprima seminariale al Festival di Santarcangelo. A proposito ringrazio Ermanna Montanari e Marco Martinelli. Quest’ultimo mi ha fatto notare che, durante un cambio di scena verso la fine del film, si parla di teatro stabile. E il capocomico fa una battuta: “Il teatro non è un posto a sedere, ma un apostolato tra la gente.”

Ci regala un altro piccolo segreto de L’Orizzonte dipinto?
In questo film debutta Valentina Cortese, altra grande protagonista de Il giardino dei ciliegi diretto da Strehler, nel ruolo della nipotina di Ermete Zacconi                                                                                                

Elvira Scorza